Professione in Famiglia compie 5 anni

Cinque anni orsono, precisamente il 18 luglio 2012, è nata Professione in Famiglia.

Tale decisione fu preceduta da una profonda e diffusa analisi sociale e innumerevoli incontri con realtà  politiche e sociali pi๠rappresentative.

Il tema trattato era:      â€œ Esistono le condizioni sociali per creare una rappresentanza delle famiglie in Italia ?”

 Domanda solo in apparenza retorica, soprattutto in un paese in cui la “famiglia” ha sempre avuto un ruolo importante nel welfare e nell’organizzazione sociale e morale.

La profonda e sommersa evoluzione del “nucleo solidale” chiamato semplicemente “famiglia” si era via via trasformata con il divorzio e soprattutto con la riforma del diritto di famiglia nel 1975.

Le organizzazioni che si ponevano in sua rappresentanza dimostravano una visione arcaica e tradizionalistica del fenomeno, rinunciando di prendere atto della sua evoluzione.

Culturalmente veniva attribuita la rappresentanza della famiglia alla destra o alla comunità  religiosa. La sinistra disdegnava solo parlarne per lo stesso pregiudizio con cui la destra la difendeva. In ambedue i casi stentavano a leggere una realtà  in continua metamorfosi.

Ovviamente quegli anni registravano una profonda crisi economica e la radicale trasformazione delle rappresentanze politiche e sociali. Era  quindi ovvio e prevedibile che l’attenzione fosse rivolta altrove.

Un gruppo di persone, provenienti prevalentemente dal mondo delle associazioni di rappresentanza, decisero di formalizzare una associazione che iniziasse a studiare e proporre soluzioni  concrete con quel pizzico di utopia che ti stimola a fare cose impossibili.

Le prevalenti origini sindacali dei fondatori delinearono principalmente il segmento del lavoro.

Si svilupparono quindi studi approfonditi sul grado di fabbisogno delle famiglie in ambito all’assistenza della persona.

Ci si rese immediatamente conto che 1,5 milioni di famiglie creavano un mercato del lavoro domestico decisamente in crescita e che 2,5 milioni svolgevano un ruolo di caregiver familiare.

Le normative contrattuali e di legge, pur innovative e tutelanti, si poggiavano sul paradigma che il domestico servisse per la cura della casa, sottovalutando la crescita tumultuosa dell’assistenza alla persona che oggi è arrivata ad un sostanziale pareggio occupazionale.

Le norme prefiguravano un rapporto generato da   famiglie benestanti con servit๠stabile, mentre la crescita coinvolgeva strati di popolazione media, con fabbisogni occasionali, straordinari e non programmabili.

Altro salto di qualità  nei servizi domestici si è concretizzato con la figura dell’assistente famigliare (badante).

La crescita di aspettativa di vita, la nuclearizzazione della famiglia e il mancato adeguamento della pubblica assistenza, ha sviluppato un segmento di assistenza privata, mediamente di bassa qualificazione. L’indisponibilità  culturale degli italiani a svolgere tale professione, ha generato un forte flusso migratorio, in particolare dai paesi dell’est europeo e sostanzialmente collocati in forme di lavoro nero ed esposto a varie forme di sfruttamento.

Da queste analisi, Professione in Famiglia, si impegna nella proposta di riforma del settore dell’assistenza extra sanitaria.

Dapprima proponendo un sistema che riconosca l’importanza del lavoro di assistenza  ( in particolare per chi non è pi๠autosufficiente), proseguendo con una totale deduzione fiscale del costo di assistenza sostenuto dalle famiglie, adeguare la contrattazione e la legislazione per contenere la mole di contenziosi sindacali e qualificando la professionalità  degli addetti e la loro integrazione nel tessuto sociale del paese.

La sola riforma del rapporto di lavoro domestico sarebbe solo una parte del grande problema che coinvolge milioni di famiglie e dei loro anziani.

La valorizzazione del patrimonio abitativo in cui vivono gli anziani in solitudine è un problema molto pi๠grande di quello che ci possiamo immaginare. Una politica che sappia valorizzare la terza età  e che dia soluzione preventiva ai drammi di abbandono sociale è un dovere civile e costituzionale, se non altro per i costi sostenuti dal servizio socio-sanitario che ne derivano.

Una politica attenta potrebbe generare iniziative virtuose formalizzando l’obbligo di servizio civile per i giovani. Un “esercito” di milioni di giovani che potrebbero essere adeguatamente formati  per far fronte alle calamità  naturali e all’assistenza delle persone pi๠deboli sarebbe una ricchezza di prospettiva per il paese e una esperienza etico-morale per le giovani generazioni.

Il 2016 è stato un anno di svolta per Professione in Famiglia.

 Esaminando il tema dell’assistenza extra sanitaria, ci si rese conto che il 27% delle famiglie avrebbero cercato una badante attraverso associazioni e agenzie specializzate, contro il 64% attraverso il passa parola ( studio Unisalute).

Una percentuale non trascurabile che dimostrava la delicatezza relativa all’assistenza di una persona non pi๠autosufficiente e quindi di personale qualificato e attendibile.

Nasce quindi la nostra proposta verso le parti sociali che negoziano il ccnl socio-sanitario-assistenziale.

Un contratto che non prevedeva la figura analoga a quella dell’assistente familiare ma che avrebbe potuto svolgere una funzione di modernizzazione del lavoro di cura perchà© già  dotata di sufficiente esperienza e diffusione territoriale con le cooperative sociali.

L’esito degli incontri avuti non fu entusiasmante. Da parte datoriale si privilegiava lo schema dei bandi pubblici e quindi una scarsa propensione al libero mercato. Da parte sindacale il timore di stravolgere il delicato ruolo professionale degli addetti del settore, con molta fatica conquistato negli anni.

Ciò nonostante, la realtà  aveva generato comunque imprese fornitrici di assistenza domiciliare che comprendevano anche la figura della badante.

Una dimensione caratterizzata da irregolarità  e sfruttamento, di cui non si esplicitava perchà© sommersa nel ruolo occasionale e perchà© veniva svolta da stranieri.

Sembrava che tutto il settore, (famiglie, aziende, lavoratrici e istituzioni) preferissero la condizione in essere piuttosto che affrontare il tema alla radice, regolamentandolo.

Un gruppo di cooperative sociali, ci chiese di rappresentarle contrattualmente, cosଠcome molte famiglie.

La riforma del Jobs act prevedeva la possibilità  di regolamentare le collaborazioni coordinate e continuative attraverso specifici accordi nazionali.

A fronte dell’ennesimo disinteresse delle parti sociali, decidemmo di generare un accordo sindacale con l’UNAI ( associazione di amministratori di condominio ) e SUL ( sindacato unitario dei lavoratori) il 7 aprile 2016.

Nonostante la scarsa conoscenza tra le imprese dell’accordo e delle parti firmatarie, ci si rese conto di aver creato un utile strumento a quelle aziende che fornivano questo tipo di servizi, per lo pi๠organizzate in network di franchising. Una realtà  che raggruppava circa 600 imprese nel Paese.

A distanza di 7 mesi, viene firmato lo stesso accordo con la UIL FPL, già  firmataria del ccnl cooperative sociali ma consapevole  dell’importanza di regolamentare un settore importante per il lavoro e per le famiglie.

La presenza del sindacato UIL diede maggiore fiducia  a molte imprese che, nel giro di pochi mesi, chiesero di aderire all’associazione.

Un passaggio di rappresentanza che cambiò sostanzialmente la fisionomia dell’associazione, pur rimanendo principalmente ancorata alla figura della famiglie e ai sui bisogni.

Ci si rese immediatamente conto della debolezza strategica delle imprese che aderivano. Essendo prevalentemente di piccole dimensioni non erano dotate di sufficienti servizi per gestire una impresa, per governare il personale in cococo, per la ricerca e la formazione degli operatori. Mancava loro un’organizzazione che le rappresentasse e le tutelasse, che le fornisse strumenti e strategie imprenditoriali di settore.

Nel breve periodo si prese contatto con studi professionali specializzati ( avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) esperti di comunicazione, di formazione professionale e di gestione aziendale. Si rafforzarono i servizi alle famiglie con l’intermediazione di manodopera domestica non lucrativa riconosciuta dal Ministero del Lavoro, con un servizio di gestione amministrativa per i rapporti di lavoro domestici e un dipartimento sindacale specifico nella tutela e rappresentanza delle famiglie in caso di contenzioso da lavoro.

Si costruଠuna Rete di professionisti a cui le imprese potevano rivolgersi ricevendo risposte competenti.

Parallelamente a ciò, forti della presenza sul territorio di imprese specializzate, si iniziò a presentare il servizio dell’operatore di aiuto agli enti locali e ad associazioni nazionali riscuotendo un esplicito interesse per la novità  del servizio qualificato.

Vista la convinta condivisione delle nostre idee e i risultati raggiunti, in pochi mesi si aprirono  55 sezioni territoriali dove le famiglie potevano incontrarsi, discutere e ricevere un aiuto concreto e circa 2.000 operatori d’aiuto contrattualizzati.

Siamo quindi arrivati al 18 luglio 2017 con tante soddisfazioni e molti impegni da realizzare. Oltre a sostenere con tenacia gli obbiettivi che ci siamo posti, vogliamo creare una nuova figura di rappresentanza per le famiglie. Lo vogliamo chiamare “ Procuratore di Aiuto”. Si tratta di una figura dell’associazione che, su esplicito mandato della famiglia, rappresenta verso terzi  gli interessi dell’assistito.

In molti casi esaminati, le famiglia non sono a conoscenza dei diritti loro spettanti o sono materialmente impossibilitati a curare il proprio caro per la distanza che li separa o impegni di lavoro.

Molti di coloro che hanno fatto nascere Professione in Famiglia hanno rinunciato strada facendo, altri hanno resistito tenacemente e altri si sono aggregati durante il percorso.

Ringraziamo tutte queste persone per il contributo che hanno fornito e la ricchezza di idee che hanno lasciato. Salutiamo chi avrebbe voluto vedere i risultati raggiunti ma che hanno lasciato questo mondo prematuramente.  Contiamo su coloro che ci aiutano e ci spronano per proseguire questa esperienza che è diventata ormai una realtà  con cui misurarsi in gran parte del Paese.

La migliore utopia è quella che si può realizzare. Qualcuno lo avrà  già  detto, noi cerchiamo di farlo.

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