Se 9 euro vi sembran pochi

In Parlamento sembra concretizzarsi un confronto tra governo e opposizione sull’aumento del potere d’acquisto dei salari, in particolare per i bassi salari. L’opposizione chiede un salario minimo previsto per legge che abbia come base di partenza € 9,00 all’ora lavorata, mentre il governo vorrebbe agire sul contenimento fiscale e previdenziale mantenendo inalterato l’attuale assetto dei contratti nazionali. Per il lavoro domestico si rinvia di 12 mesi ad un decreto del Ministero del lavoro ma coerente con la legge sulla materia.

Abbiamo quindi simulato quanto potrebbe incidere sul lavoro domestico l’applicazione dei due scenari. Il minimo dei 9 euro è facilmente calcolabile perché si tratterebbe di semplice matematica mentre quello del governo non ci è dato da sapere se non per sommi capi.

Abbiamo quindi simulato una modifica dei minimi salariali del Ccnl domestico (quello maggiormente adottato in Italia) partendo da 9 euro al livello più basso, quello delle colf e riparametrandolo ai livelli superiori con gli stessi criteri delle tabelle attuali.

Abbiamo infine calcolato il costo annuo comprendendo la 13°, le ferie, le ex festività e il TFR.

Con il minimo dei 9 euro, l’incremento medio sarebbe del 70%.

Prendendo ad esempio il livello C super, quello di una badante che assiste una persona non autosufficiente, per 40 ore alla settimana o in convivenza, risulterebbe che il solo salario annuo passerebbe da 20.254 a €34.589, mentre, in caso di convivenza si passerebbe da 18.212 a € 31.102.

Sarebbe quindi una situazione insostenibile per le famiglie e difficilmente compensabile con gli attuali sgravi fiscali.

Inoltre, il sistema previdenziale è calcolato in cifra fissa per ogni ora lavorata, il ché non porterebbe alcun miglioramento per le lavoratrici del settore, cosa diversa per i lavoratori di tutti gli altri settori che avrebbero i versamenti in percentuale sul salario lordo percepito.

Anche l’ipotesi delineata dal governo rischia di avere scarso effetto sia sulle lavoratrici che sulle famiglie.

Infatti, agendo solo su Irpef e contributi, l’agevolazione escluderebbe il 40% delle lavoratrici che non superano la soglia della no tax area e non vedrebbero modificarsi le attuali prestazioni previdenziali e assistenziali.

Non sarebbe quindi sufficiente per far emergere l’enorme bacino di lavoro nero del settore.

In ultima ipotesi spunta il CNEL, dato per morto da più parti ma unico punto di equilibrio possibile tra le posizioni radicali in campo. Il Cnel infatti è un vero e proprio Parlamentino previsto dalla Costituzione in cui trovano posto le organizzazioni sociali più rappresentative.

Per ora sembra esserci una proposta di metodo.

Brunetta a capo del Cnel, propone un tavolo largo con le parti sociali che si confronti sulla validità per legge dei contratti nazionali maggiormente applicati, che superi i ritardi nei rinnovi contrattuali e che incentivi la produttività legandola alla sua redistribuzione sui salari. Un tentativo lodevole ma che escluderebbe tutte le forze politiche senza legami con le parti sociali e non sono poche, pronte ad impallinare qualsiasi proposta giunga dal Cnel.

Qualsiasi incremento salariale non può prescindere da parametri di professionalità e produttività.

È quindi dalla ricchezza prodotta che viene definito il salario dei lavoratori. Se però questo è il perimetro del confronto, come lo si potrebbe tradurre per il lavoro di assistenza di ausilio alla famiglia?

Si potrebbe iniziare col distinguere la cura della casa da quello della persona.

Già il Ccnl domestico distingue i due ambiti per definire le professioni.

La produttività potrebbe essere misurata con parametri indiretti.

Se l’assistenza acquistata da una famiglia permettesse una continuità del lavoro, una riduzione del part time condizionato o assenze per l’assistenza questa potrebbe essere presa a riferimento per la misurazione del salario di chi presta l’assistenza.

Altro parametro potrebbe essere quello della formazione professionale.

Acquisire maggiori competenze attraverso percorsi formativi specifici è sicuramente un vantaggio per l’assistito e i suoi familiari.

Resta il fatto di poter misurare con certezza le acquisizioni professionali acquisite per poterle riconoscerle anche dal punto di vista retributivo.

La polverizzazione del lavoro domestico non permette di avere un quadro preciso per calcolarne la produttività, mentre sarebbe più semplice se detti servizi venissero forniti da imprese specializzate.

Le compensazioni, quindi, non transiterebbero tramite le imprese ma direttamente alle famiglie beneficiarie dei servizi acquistati, così come avviene nella maggioranza dei paesi UE.

Una riforma sicuramente molto complessa che necessità di un percorso sperimentale in alcuni territori e un tempo adeguato di adattamento della domanda e dell’offerta assistenziale.

MENO POLEMICHE E PIU’ RIFORME

COMUNICATO STAMPA

La clausola contrattuale che vede la rivalutazione retributiva annua del lavoro domestico in sede ministeriale ha generato forte preoccupazione nel settore per le ricadute economiche sulle famiglie datrici di lavoro.

Gli incrementi ipotizzati, aggiunti a quelli contributivi, non farebbero altro che aumentare il lavoro irregolare, già fortemente presente nel settore.

D’altro canto, detta clausola ha un valore intrinseco di equiparazione economica nazionale che in sua assenza, potrebbe generare una ulteriore degenerazione sul lavoro di cura della persona e della casa.

In questi ultimi anni il settore ha subito una metamorfosi sociale con un forte calo della presenza di lavoratrici contro una crescita di domanda assistenziale qualificata di ausilio alla famiglia, determinatasi anche dalla pandemia.

L’inflazione sta incidendo significativamente sulle fasce più deboli della popolazione e ciò deve richiamare le forze sociali e politiche ad una maggiore responsabilità sulle politiche da adottare.

È parere comune di tutti gli osservatori del settore sulla necessità di riformare le politiche di settore ancora ferme alla concezione del lavoro domestico come servizio verso la casa, mentre la crescita di cura alla persona sta prevalendo progressivamente, anche con forme inedite di servizi di ausilio familiare. Si va infatti sviluppando un sistema di imprese, soprattutto cooperative sociali, che organizzano servizi qualificati per le famiglie liberandole dalle incombenze di ricercare personale e gestire rapporti di lavoro. C’è ragione di favorire e sostenere questo tipo di imprese che applicano il loro specifico contratto di lavoro.

Pensiamo quindi che sia giunto il momento di una riforma complessiva che modernizzi il settore, partendo dalla possibilità di defiscalizzare interamente i servizi di ausilio familiare, ad una politica di formazione professionale più incisiva e ad un ruolo più coinvolgente degli enti locali e parti sociali nell’integrazione di lavoratori stranieri fortemente presenti nel settore e impossibilitati a regolarizzarsi per i troppo vincoli normativi esistenti.

Pensiamo inoltre che le politiche contrattuali possano e debbano compensare l’aggravio del costo del lavoro attraverso prestazioni più incisive a favore dei datori di lavoro domestico (Cassacolf), parimenti, il Governo dovrebbe superare l’anacronistica esclusione dell’indennità per malattia a favore dei lavoratori domestici.

Chiediamo pertanto che il Governo convochi le parti sociali per definire un percorso comune di riforma del settore, comprensivo anche della rivalutazione delle retribuzioni dei lavoratori domestici.

comunicato ACLI

Intervista a Bruno Perin sul rinnovo del CCNL Domestico

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Intervista a Bruno Perin, vice presidente di Professione in Famiglia, sul ccnl nel lavoro domestico.

Dopo quasi 4 anni di negoziati,  è stato sottoscritto il contratto nazionale del lavoro domestico. Quali sono le valutazioni di Professione in Famiglia, in quanto rappresentante di datori di lavoro domestici?

Occorre precisare che il contratto firmato è, tra i tanti depositati al CNEL, quello maggiormente rappresentativo nel settore, quindi assume una particolare importanza di riferimento per i datori di lavoro e per i lavoratori.

Ci aspettavamo sinceramente una normativa in grado di cogliere maggiormente le evoluzioni del settore e le peculiarità  determinatesi con l’epidemia ma purtroppo siamo stati delusi.

Può essere pi๠specifico?

Innanzitutto ci saremmo aspettati un esplicito impegno congiunto verso il Parlamento per contrastare la piaga del lavoro nero attraverso la totale defiscalizzazione del lavoro domestico per le famiglie, almeno per la cura di soggetti non pi๠autosufficienti, una normativa pi๠flessibile per il part time in regime di convivenza e una semplificazione della retribuzione conglobata con gli istituti indiretti e differiti. Infine, il lockdown, ha generato migliaia di licenziamenti nel settore proprio per l’assenza dell’istituto contrattuale della “sospensione”.

Quindi voi sostenete che il rinnovo si è limitato alla manutenzione ordinaria del contratto?

Nella sostanza si, con una lievitazione dei costi per le famiglie che sinceramente non troviamo giustificati.

Ci può fare degli esempi?

Le 40 o 64 ore di permessi retribuiti per la partecipazione ai corsi formativi dopo 6 mesi di lavoro mi paiono anacronistici per l’oggettiva difficoltà  di frequentazione se non in periodi di disoccupazione.  

Mi sarebbe piaciuta una normativa che agevolasse la formazione a distanza, pi๠adatta al settore, con il diritto allo studio durante l’orario di lavoro.

La soluzione trovata rischia di non essere applicata o addirittura potrebbe generarne l’uso strumentale.

Inoltre, l’accesso al livello D super è subordinato giustamente all’acquisizione di specifici attestati formativi ma con la soglia minima vincolante di 500 ore, penso non trovi nessuno interessato o incentivato se non per coloro che hanno già  una qualifica di OSS o ASA.

I contributi per l’assistenza contrattuale vengono raddoppiati. Nulla in contrario che si rafforzino gli istituti mutualistici ma non se ne capisce la destinazione.

Non essendo pubblici i bilanci dei tre enti bilaterali, non posso esprimere un parere di merito ma suppongo che sussistevano già  oggi tutte le condizioni per migliorare le prestazioni ai lavoratori e inserire quelle per le famiglie, senza dover raddoppiare il contributo. è un semplice problema di trasparenza e di indirizzo.

Ho anche qualche dubbio sulla nuova declaratoria dell’educatore.

Se si trattasse di una figura finalizzata al recupero scolastico o di cultura generale sarebbe coerente con il settore domestico ma, attribuire a costoro l’inserimento o reinserimento sociale per persone affette da disabilità  psichica o con disturbi di apprendimento o relazionali, le competenze dovrebbero essere di livello decisamente elevato e soprattutto coordinate con la supervisione di istituti scolastici o sanitari. Approfondirò.

Non salva nulla di questo contratto?

Tutt’altro. Sono convinto dell’importanza sociale dei contratti collettivi e, vedere rinnovato un ccnl, è sempre una cosa positiva in sà©.

L’aver regolamentato i diritti nei casi di violenza e molestie per entrambe i soggetti e previsto congedi per le donne vittime di violenza di genere sono norme di civiltà .

Spero che non abbiano abbandonato una giusta battaglia di dignità  assistenziale per il riconoscimento dell’indennità  di malattia ai lavoratori del settore, unici a non averla.

Certo che c’è ancora molto lavoro da fare per elevare a dignità  professionale il settore e riconoscere i servizi d’ausilio come essenziali per milioni di famiglie.

Ci aspettiamo che le parti sociali utilizzino questi due anni che li separano dal rinnovo per osservare con maggiore attenzione l’evolversi del settore, ad esempio, l’Osservatorio nazionale di DOMINA è sicuramente un valido contributo di analisi.

La risposta che noi abbiamo dato è stata quella di un contratto che coinvolgesse tutte le professioni dedicate all’ausilio familiare e sta riscontrando un notevole interesse.

Per quanto ci riguarda siamo a riconfermare la nostra disponibilità  al confronto, superando inutili primogeniture di rappresentatività  in un settore cosଠpolverizzato.

Nuove retribuzioni per i lavoratori domestici 2020

Come per tutti gli anni, sono stati rivalutati i salari e i contributi Inps dei lavoratori domestici.

I nuovi valori entrano in vigore dal 1 gennaio fino al 31 dicembre 2020.

Vista l’assenza di inflazione dell’anno precedente, i ritocchi sono di pochissimi centesimi.

Alleghiamo la scheda che attribuisce i nuovi valori ad ogni singolo livello professionale.

nuove tabelle lavoro domestico 2020.

nuove tabelle lavoro domestico 2020

Professione in Famiglia nella Relazione annua del CNEL

Logo_CNELLa Relazione 2019 del CNEL al Parlamento e al Governo sulla qualità  dei servizi erogati dalle PA centrali e locali  presentata il 15 gennaio, riporta un capitolo specifico sulla non autosufficienza e le derivazioni sociali e contrattuali.

Schermata 2019-06-28 alle 16.05.35Aldo Amoretti, Presidente di Professione in Famiglia, è stato chiamato a fornire un quadro nazionale sul fenomeno.

 

Riportiamo il testo integrale della Relazione e il capitolo nelle pagine 286, 287 e 288

Relazione al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità  dei servizi Pubblici – 2019

3.5.2. L’assistenza ai disabilia cura di Aldo Amoretti, Professione in Famiglia

3.5.2.1. L’assistenza ai non autosufficienti

Si conferma la tendenza all’accrescimento del fenomeno in ragione dell’invecchiamento della popolazione. Istat prevede per il 2030 cinque milioni di soggetti non autosufficienti dei quali un milione ultra-ottantacinquenni. Il disagio dei soggetti si combina con quello delle famiglie (quando esistono). Le differenze sono rilevantissime tra questi estremi: famiglie benestanti che si possono permettere pi๠di una badante o residenze di lusso nelle quali a un certo punto affiora il pensiero “povera nonna come campa male, se muore è meglio anche per lei”; altre che sbarcano il lunario grazie al nonno non autosufficiente che avrà  una pensione al minimo abbinata ad assegno sociale e indennità  di accompagnamento; se non si paga affitto e si racimola qualche lavoretto in nero si stringono i denti e si arriva a fine mese; quando muore il nonno si piomba nella miseria pi๠nera.In tanti casi si dà  fondo ai risparmi, ci si indebita, si vende la nuda proprietà  dell’abitazione.Network Non Autosufficienza (NNA) riassume come segue le criticità  dell’assistenza domiciliare:

1. predominanza dei trasferimenti monetari. Il sistema LTC italiano si basa soprattutto sull’e-rogazione dell’indennità  di accompagnamento, un assegno mensile di 516 Euro per condizioni di invalidità  totale e un bisogno continuo di assistenza per svolgere le attività  quotidiane e la deambulazione;

2. bassa intensità  media dell’assistenza domiciliare: meno di venti ore per utente all’anno.

3. scarsa integrazione tra servizi sanitari e socioassistenziali: nonostante si proclami ufficialmente l’importanza dell’integrazione tra servizi sanitari (ADI) e socio-assistenziali a domicilio (SAD) le relazioni tra i due sistemi sono spesso inesistenti o marginali;

4. disparità  territoriali: le coperture e le intensità  dei servizi variano largamente da regione a regione e anche all’interno della medesima regione;

5. “doppio binario” di servizi pubblici e privati di assistenza con l’esito di un ricorso predominante alla soluzione badante per quasi il 90% immigrate con una grossa quota di irregolarità  sia in quanto a rapporti di lavoro sia in quanto a diritto di residenza;

6. Risorse finanziarie limitate per l’assistenza diretta: la maggior parte delle risorse pubbli-che si concentra sull’indennità  di accompagnamento finanziata nel 2016 con 10 miliardi di euro. Nello stesso anno i Comuni hanno speso 2,7 miliardi per SAD e il SSN 5,9 miliardi per la com-plessiva offerta da servizi domiciliari, semi-residenziali e residenziali a carattere sanitario.

Nel quinquennio 2013-2017 la spesa per LTC rispetto al Pil si è contratta passando da 1,74% a 1,7%. La componente pi๠rilevante resta l’indennità  (0,79%) seguita dalla spesa sanitaria (0,68%). Su La Stampa del 14 giugno 2019 Linda Laura Sabbadini sottolinea il crescere delle “necessità  di assistenza adeguata. Per tali persone, l’Italia investe solo l’1,7% del Pil, contro il 2% dei Paesi UE-28, con punte del 4,7% in Norvegia, 3,2% in Svezia e 2,3% in Germania e Svizzera.”Al Convegno di Italia Longeva del 3-4 luglio 2019 si sottolinea come “la rete, per funzionare bene, deve poter disporre di adeguati servizi di assistenza domiciliare (ADI) e di residenzialità  assistita (RSA) per la presa in carico dei pazienti pi๠complessi: si tratta, tuttavia di servizi ancora carenti e sottopo-tenziati rispetto alla domanda di una popolazione che invecchia. Secondo il Ministero della Salute, solo il 2,7% degli over-65 usufruisce di servizi ADI, e solo il 2,2% di un posto in RSA. Nel 2018 i soggetti trattati in ADI sono stati 670.416 rispetto ai 462.158 del 2014; gli ospitati in RSA nel 2018 sono 562.642 rispetto ai 537.971 del 2014 con una ripresa rispetto al calo verificato negli anni 2015-2016.Anche il dato generale delle Prese in carico (PIC) merita osservazioni. Tra il 2017 e il 2018 il numero assoluto passa da 868.712 casi a 939.912, ma la percentuale rispetto alla popolazione interessata è in calo: per gli ultra 65enni si passa da 3,2% a 2,7%; per gli ultra 75enni si passa da 5,3% a 4,4%.

Merita citazione il commento di Italia Longeva sulla attendibilità  dei dati: “Come già  messo in rilievo nel contesto delle scorse edizioni dell’indagine, a fronte di un dato nazionale medio di 2,7% di persone over65 riceventi ADI nel 2018 e 2,2% residenti in RSA, le percentuali variano notevolmente da regione a regione e non sembrano seguire un chiaro gradiente nord-sud osservato talvolta in contesti simili. Relativamente all’ADI si osservano volumi massimi di attività  in Molise (4,7%), Sicilia (4,0%), ed Emilia-Romagna (3,6%). Le percentuali pi๠basse invece si registrano in Lazio (1,5%), Calabria (1,1%) e Valle d’Aosta (0,2%). Simile variabilità , ma con un pattern diverso, viene riscontrata per ciò che riguarda il numero di anziani residenti in RSA. La Provincia autonoma di Trento risulta essere l’area italiana con la maggior percentuale di persone over65 in RSA, ovvero il 9,4% della popolazione anziana, seguita dalla Lombardia (3,8%) e dal Piemonte (3,45). Al contrario in Molise (0,2%) e a pari merito Valle d’Aosta e Campania (0,1%) risultano le regioni con meno anziani residenti in RSA.

Chiaro come sia rilevantissimo il fenomeno badanti. Inps dice che nel 2018 sono stati 859.233 gli iscritti nella qualità  di lavoratori domestici metà  badanti (47%) e metà  colf (53%). Le donne sono 88,4%; gli immigrati 613.269. Ma il fenomeno di lavoro e immigrazione irregolare pare ancor pi๠rilevante di quanti risultano iscritti a Inps. Censis in una ricerca relativa al 2014 stima in 876mila gli addetti al lavoro domestico in nero.

La fondazione Leone Moressa in una ricerca recente con Domina porta a due milioni il totale degli addetti. Il monte salari degli addetti regolari si conferma intorno ai 5,8 miliardi, le loro rimesse intorno a 1,4.

è chiaro come la soluzione badanti sia divenuta strutturale e non sia possibile immaginare un affrontamento del problema non autosufficienza che prescinda da una sistemazione decente di queste persone che porti a regolarità  la loro condizione.

Un modo passa per innovazioni contrattuali che per esempio rendano praticabile il part time; dall’associazionismo dei datori di lavoro è proposto un intervento fiscale di deduzione dal reddito di tutta la spesa per badante, operatore di aiuto o collaborazioni similari con le necessarie rettifiche affinchà© non guadagnino solo i redditi alti. Si sostiene che una tale offerta di vantaggio fiscale potrebbe indurre alla regolarità  350-400mila rapporti di lavoro sommersi. In un documento del Censis si stima “il risultato finale degli effetti diretti e indiretti pari a un costo per lo Stato di 72 milioni di euro.” Il Forum del terzo settore è meno ottimista e stima “un maggior esborso pubblico di circa 250 milioni di euro annui” e prevede un aumento “al calcolo del Pil di almeno 0,30-0,40 punti percentuali, e al calcolo degli occupati per circa 2 punti percentuali.

Certo la efficacia di una tale misura sarebbe data anche da una campagna per la regolarizzazione che si associasse ad una sanatoria per le immigrate irregolari della quale c’è comunque bisogno se non si preferisce l’andazzo attuale. Associato a queste misure va definito un canale di reclutamento all’e-stero che sia praticabile, un sistema di formazione minimo per un inserimento decente, il ritorno, per tutti gli immigrati che tornano stabilmente al paese di origine, alla norma che permetteva di incassare da Inps il montante dei contributi versati.

Il Presidente della Comunità  di S. Egidio, incontrando il Presidente del Consiglio nel luglio 2018, ha evidenziato come manchino 50mila badanti nel mercato del lavoro italiano e Inps segnala come in soli dieci anni sia raddoppiato il numero di badanti in età  superiore a 50 anni e quadruplicato il numero di quelle con pi๠di 60 anni. Stimiamo in almeno due milioni il totale di caregiver; soprattutto donne che si dedicano a tempo pieno e gratuitamente alla cura di un familiare.

Si discute di una Legge a tutela di queste persone. Bisognerà  arrivare ad assicurare loro almeno i contributi figurativi per la pensione e rendere praticabile il diritto alla aspettativa dal lavoro, seppure senza oneri per l’impresa, per i periodi che dedicano a questa opera (Art. 4 Legge n. 53/2000).

Si ragiona di invecchiamento attivo; da pi๠parti si propone di estendere il servizio civile o addirittura di renderlo obbligatorio; ci sono i problemi delle famiglie, ma sempre di pi๠quelli degli anziani soli (a Roma si è coniato il gergo “barboni domestici” o “barboni ricchi” per alludere a persone benestanti economicamente anche residenti in case inutilmente grandi, ma che la solitudine rende comunque emarginate specie se maschi). Da quando nel 2004 è stata approvata la legge n. 6 che istituisce la figura dell’Amministratore di sostegno e fino al 2016 risultano 369.988 i fascicoli aperti presso tutti tribunali della Repubblica. Ciò emerge da una elaborazione AIASS (Associazione Italiana Amministratori di Sostegno Solidale). Si hanno molti squilibri negli standard di efficienza dei tribunali. In troppi casi si dà  luogo alla nomina provvisoria che rimane tale fino a conclusione della missione. Il Ministero della Giustizia si è fatto promotore di un Progetto “Uffici di prossimitࠑ” che ha lo scopo di facilitare l’accesso ai cittadini e il dialogo con essi anche senza l’assistenza dell’avvocato. Il progetto si avvale di risorse del Fondo sociale europeo con uno stanziamento previsto in oltre 34 milioni di euro. La sperimentazione è prevista in Regioni pilota che saranno Toscana, Liguria e Piemonte.

Non ci si può ridurre a sole due soluzioni: o in casa propria con la badante o nella RSA-casermone-ospedale-ospice. Si devono allestire e favorire soluzioni intermedie, anche convivenze di piccoli gruppi tipo “casa famiglia” o “comunità  alloggio” specie per chi può avere acciacchi o patologie croniche gestibili. In comunità  una badante può occuparsi di tre anziani, vivere meglio lei anche uscendo dalla convivenza e vivere meglio loro uscendo dalla solitudine. Sono soluzioni che possono andare insieme a progetti di valorizzazione del patrimonio abitativo degli anziani anche per reinvestirlo in strutture di “housing sociale”. Se ne vede qualche esempio, ma siamo ben lontani da esigenze e possibilità .

Anche la vendita della nuda proprietà  non risolve i tuoi problemi se sei senza ascensore in una abitazione inidonea alle tue esigenze.

Si osserva il crescere di agenzie che offrono il servizio della badante. In troppi casi utilizzando rap-porti di lavoro non regolari con l’offerta di costi perfino inferiori a quelli dell’assunzione diretta. C’è anche chi offre questo servizio in regola applicando l’Accordo nazionale del 28 novembre 2016 che regolamenta i cococo in ragione dell’art. 2 del Decreto legislativo n. 81 del 15.6.2015 per una qualifica denominata “operatore di aiuto”.

Ci si interroga sui motivi per i quali il tema della non autosufficienza non è nell’agenda sociale e politica del Paese. C’è chi ritiene che sia prevalente un pensiero inespresso, e perfino non pensato, secondo il quale se le famiglie italiane si arrangiano con la badante immigrata irregolare e in nero si può tirare avanti cosà¬. Non solo è ingiusto; è anche improbabile che si possa seguitare senza grandi innovazioni. Si può anche copiare da altri paesi europei che il problema lo hanno affrontato e si pos-sono perfino evitare da loro praticati nelle esperienze realizzate.Il giorno 25 giugno 2019 al Ministero del lavoro si è riunito il “Tavolo nazionale sulla Non Autosuf-ficienza”. Nella occasione “Sindacati e associazioni hanno ribadito che di fronte ad un fenomeno che interessa milioni di persone e muove una spesa sanitaria e sociale di 30 miliardi, con costi pesantissi-mi a carico delle famiglie, non basta discutere del Fondo NA (570 milioni), serve una Legge Quadro sulla Non Autosufficienza per assicurare in modo uniforme in tutto il Paese il diritto alla salute, alle cure e all’assistenza sociale.”