In Parlamento sembra concretizzarsi un confronto tra governo e opposizione sull’aumento del potere d’acquisto dei salari, in particolare per i bassi salari. L’opposizione chiede un salario minimo previsto per legge che abbia come base di partenza € 9,00 all’ora lavorata, mentre il governo vorrebbe agire sul contenimento fiscale e previdenziale mantenendo inalterato l’attuale assetto dei contratti nazionali. Per il lavoro domestico si rinvia di 12 mesi ad un decreto del Ministero del lavoro ma coerente con la legge sulla materia.
Abbiamo quindi simulato quanto potrebbe incidere sul lavoro domestico l’applicazione dei due scenari. Il minimo dei 9 euro è facilmente calcolabile perché si tratterebbe di semplice matematica mentre quello del governo non ci è dato da sapere se non per sommi capi.
Abbiamo quindi simulato una modifica dei minimi salariali del Ccnl domestico (quello maggiormente adottato in Italia) partendo da 9 euro al livello più basso, quello delle colf e riparametrandolo ai livelli superiori con gli stessi criteri delle tabelle attuali.
Abbiamo infine calcolato il costo annuo comprendendo la 13°, le ferie, le ex festività e il TFR.
Con il minimo dei 9 euro, l’incremento medio sarebbe del 70%.
Prendendo ad esempio il livello C super, quello di una badante che assiste una persona non autosufficiente, per 40 ore alla settimana o in convivenza, risulterebbe che il solo salario annuo passerebbe da 20.254 a €34.589, mentre, in caso di convivenza si passerebbe da 18.212 a € 31.102.
Sarebbe quindi una situazione insostenibile per le famiglie e difficilmente compensabile con gli attuali sgravi fiscali.
Inoltre, il sistema previdenziale è calcolato in cifra fissa per ogni ora lavorata, il ché non porterebbe alcun miglioramento per le lavoratrici del settore, cosa diversa per i lavoratori di tutti gli altri settori che avrebbero i versamenti in percentuale sul salario lordo percepito.
Anche l’ipotesi delineata dal governo rischia di avere scarso effetto sia sulle lavoratrici che sulle famiglie.
Infatti, agendo solo su Irpef e contributi, l’agevolazione escluderebbe il 40% delle lavoratrici che non superano la soglia della no tax area e non vedrebbero modificarsi le attuali prestazioni previdenziali e assistenziali.
Non sarebbe quindi sufficiente per far emergere l’enorme bacino di lavoro nero del settore.
In ultima ipotesi spunta il CNEL, dato per morto da più parti ma unico punto di equilibrio possibile tra le posizioni radicali in campo. Il Cnel infatti è un vero e proprio Parlamentino previsto dalla Costituzione in cui trovano posto le organizzazioni sociali più rappresentative.
Per ora sembra esserci una proposta di metodo.
Brunetta a capo del Cnel, propone un tavolo largo con le parti sociali che si confronti sulla validità per legge dei contratti nazionali maggiormente applicati, che superi i ritardi nei rinnovi contrattuali e che incentivi la produttività legandola alla sua redistribuzione sui salari. Un tentativo lodevole ma che escluderebbe tutte le forze politiche senza legami con le parti sociali e non sono poche, pronte ad impallinare qualsiasi proposta giunga dal Cnel.
Qualsiasi incremento salariale non può prescindere da parametri di professionalità e produttività.
È quindi dalla ricchezza prodotta che viene definito il salario dei lavoratori. Se però questo è il perimetro del confronto, come lo si potrebbe tradurre per il lavoro di assistenza di ausilio alla famiglia?
Si potrebbe iniziare col distinguere la cura della casa da quello della persona.
Già il Ccnl domestico distingue i due ambiti per definire le professioni.
La produttività potrebbe essere misurata con parametri indiretti.
Se l’assistenza acquistata da una famiglia permettesse una continuità del lavoro, una riduzione del part time condizionato o assenze per l’assistenza questa potrebbe essere presa a riferimento per la misurazione del salario di chi presta l’assistenza.
Altro parametro potrebbe essere quello della formazione professionale.
Acquisire maggiori competenze attraverso percorsi formativi specifici è sicuramente un vantaggio per l’assistito e i suoi familiari.
Resta il fatto di poter misurare con certezza le acquisizioni professionali acquisite per poterle riconoscerle anche dal punto di vista retributivo.
La polverizzazione del lavoro domestico non permette di avere un quadro preciso per calcolarne la produttività, mentre sarebbe più semplice se detti servizi venissero forniti da imprese specializzate.
Le compensazioni, quindi, non transiterebbero tramite le imprese ma direttamente alle famiglie beneficiarie dei servizi acquistati, così come avviene nella maggioranza dei paesi UE.
Una riforma sicuramente molto complessa che necessità di un percorso sperimentale in alcuni territori e un tempo adeguato di adattamento della domanda e dell’offerta assistenziale.