CIO’ CHE NON POTE’ LA POLITICA, LO FECE LA GIUSTIZIA

La Corte di Cassazione ha dato ragione ad un cittadino torinese che si era visto rifiutare dall’Agenzia delle entrate la deducibilità fiscale di due colf che aiutavano la madre totalmente non autosufficienza nel disbrigo delle faccende domestiche.

Tale sentenza cambia completamente lo scenario sul mondo dell’assistenza domiciliare. Infatti, la fiscalità permetteva e permette di portare a detrazione fiscale i costi sanitari (19%) mentre per l’assistenza, solo la detraibilità delle spese sostenute fino ad un massimo di € 2100 annui.

Professione in Famiglia e tutte le associazioni che seguono il problema della non autosufficienza, hanno da sempre chiesto alla politica di intervenire in aiuto delle famiglie attraverso molte forme, come ad esempio la defiscalizzazione totale dei costi di assistenza di ausilio familiare o indennità mirate allo scopo. Le risposte non sono mai pervenute.

Il costo di un’assistenza domiciliare di ausilio familiare attraverso un’assistente familiare o un operatore d’aiuto si aggira tra i 18.000 e 20.000 euro all’anno. Supponendo che l’assistito benefici di un assegno di accompagnamento, il costo di abbassa di € 6.400 e di altri € 750 per la deduzione fiscale.

Con tale sentenza, il risparmio della famiglia potrebbe arrivare a circa € 11.000.

Questo inciderebbe significativamente sull’emersione dal lavoro nero di gran parte delle attuali 300.000 lavoratrici in nero del settore e, se il servizio venisse acquistato tramite un’impresa specializzata, le entrate per lo Stato compenserebbero gran parte dei costi fiscali determinati dalla deduzione perché, essendo sostituto d’imposta, ci sarebbe la certezza del versamento dei contributi all’Inps, IRPEF e IVA.

In sede di dichiarazione dei redditi sarà quindi opportuno segnalarlo al CAF di riferimento presentando la documentazione di totale non autosufficienza e la fattura emessa dall’agenzia che ha fornito il servizio per ottenere la detrazione.

Ma, attenzione! Resta pur sempre un limite etico. I cittadini incapienti, quelli cioè che hanno un reddito inferiore agli 8.000 euro all’anno e che per il quale non agisce l’IRPEF, non potranno beneficiare della deduzione fiscale e dal lato opposto chi ha un reddito molto alto potranno portare a deduzione il 43%. Ecco quindi che ritorna in ballo la politica per riequilibrare queste ingiustizie.

Professione in Famiglia incontra il Ministero del Lavoro

Il 3 dicembre, si è svolto l’incontro della delegazione di Professione in Famiglia e FIALS-CONFSAL con il Direttore Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del Lavoro Dr. Romolo De Camillis sul tema del CCNL Servizi di ausilio familiare legato alla Ispezione straordinaria del Ministero dell’Industria e del Made in Italy.

L’incontro è stato richiesto da PF per confrontarsi col Ministero sulla fonte giuridica da cui scaturisce il CCNL e, in particolare, sulla regolamentazione dei cococo in esso prevista.

L’Ispezione straordinaria del MIMIT, infatti, riscontrava alcune criticità contrattuali legate al rapporto di collaborazione nelle cooperative sociali, criticità che si sarebbero dovute chiarire a seguito di un quesito fatto dal MIMIT al Ministero del Lavoro.

Fermo restando che il Ministero del Lavoro abbia precisato che tali situazioni rientrano nelle competenze dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha voluto approfondire con maggiore precisione la norma contrattuale e la sua adozione nel settore, riservandosi di esprimere un parere più compiuto qualora venisse esaminato il quesito MIMIT.

Sulla base della documentazione prodotta da PF e delle peculiarità di settore che giustificano l’uso massiccio di cococo, il Direttore Generale ha voluto precisare che:

  1. In assenza di normativa in grado di misurare la maggiore rappresentatività sindacale e di erga omnes dei contratti, il vincolo del CCNL da dottarsi, previsto dal D.Lgs. 81/2015, non può trovare applicazione. Pur restando auspicabile una maggiore presenza di sindacati rappresentativi a sottoscrivere questo CCNL, la loro assenza non preclude il diritto per le imprese e i lavoratori di poterlo adottare.
  2. Esaminando i raffronti con CCNL analoghi nel settore dell’assistenza alla persona, si prende atto che questo contratto sia l’unico depositato al CNEL che regolamenta i rapporti di cococo. Questo rafforza la tesi di adozione contrattuale prevista dal D.Lgs. 81/2015 in parallelo alla procedura di certificazione.
  3. Per quanto in premessa resta quindi la competenza dell’Ispettorato del Lavoro verificare il rapporto genuino e coerente del lavoro eseguito con le norme contrattuali, soprattutto sull’aspetto del rapporto etero diretto come da noi interpretato, piuttosto che etero organizzato tra committente e collaboratore. Questo è parametro fondamentale per definire la differenza tra lavoro subordinato e parasubordinato.

La delegazione di PF e la FIALS-CONFSAL ritengono soddisfacenti le riflessioni del Direttore Generale e coerenti con la normativa del CCNL servizi di ausilio familiare.

Ritengono comunque utile chiedere un incontro anche con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro auspicando ulteriori chiarimenti giuridici al fine del migliore svolgimento dell’Ispezione straordinaria del MIMIT e delle sue conclusioni.

Considerano infine necessario operare una maggiore informazione nel settore per contrastare le forme di lavoro irregolare, anche dettate dalla scarsa conoscenza dei vincoli di legge e di contratto.

Dal silenzio compiacente alla caccia alle streghe senza una politica di riforma dell’assistenza di ausilio familiare

Le ultime notizie sono che l’Inps e l’Agenzia delle entrate confronteranno i rapporti di lavoro domestico con le dichiarazioni dei redditi per contrastare l’evasione fiscale e previdenziale nel settore.

Prima della decisione è trapelata la notizia dal Ministero dell’economia che l’evasione fiscale e previdenziale del settore domestico è pari a 2,4mld annui.

Ma andiamo per ordine cronologico ad esaminare il fenomeno del lavoro domestico e in particolare quello dell’assistenza alla persona.

  • Verso la fine degli anni ’70 l’assistenza domiciliare alla persona non autosufficiente venne derubricata a cooperative sociali attraverso apparti pubblici. Una necessità sociale ancora agli albori ma che si prospettava in forte crescita.
  • Negli anni ’80 nacquero le prime norme di sussidio come, ad esempio, l’indennità di accompagnamento per la non autosufficienza
  • Negli anni ’90, con l’entrata nel mondo del lavoro delle donne e la crescita della terza età, l’intervento pubblico in appalto non fu più sufficiente e iniziò il fenomeno del badantato, inserendo la figura dell’assistente familiare all’interno del settore domestico.
  • Il fenomeno dell’assistenza di ausilio familiare crebbe tumultuosamente nel secondo decennio del secolo registrando il servizio della badante con il 50% degli occupati domestici.
  • Nel frattempo, calò la destinazione economica dello Stato verso gli enti locali e conseguentemente si ridusse l’intervento assistenziale a domicilio.
  • Da questo momento si abdicò l’assistenza della persona alla famiglia e al badantato.
  • La crisi finanziaria del 2008, la pandemia e l’inflazione recente fece lievitare la forma irregolare del lavoro di assistenza, portando al 50% il lavoro nero nel settore e, l’assenza di nuove regole, generò forme di servizi privati alla persona per lo più illecite. Tutto ciò nel totale silenzio e disattenzione sociale e politica.

Ad oggi registriamo che:

  1. È sempre più difficile reperire personale qualificato professionalmente per destinarlo all’assistenza della persona.
  2. Le esperienze della formazione professionale sono sostanzialmente disattese dal mercato.
  3. I costi dell’assistenza domiciliare sono incompatibili con la stragrande maggioranza dei pensionati bisognosi di assistenza.
  4. L’intervento medio di assistenza domiciliare, fornita dagli enti locali non supera le 18 ore annue mentre cresce il fenomeno delle dimissioni protette, a totale carico della famiglia.
  5. I due tentativi di regolarizzazione ed emersione dal lavoro nero (2012 e 2020) sono falliti, facendo ritornare nell’irregolarità quanto emerso in soli due anni.
  6. Invece di confrontarsi seriamente sul come governare un fenomeno di massa che coinvolge oltre 10 mil. di cittadini, tra i soggetti assistiti e i loro familiari, si adotta una sorta caccia alle streghe. Nulla da criticare per la corretta applicazione delle leggi, anzi, ben venga in tutti i settori dell’economia ma: a. Ipotizziamo che vengano rilevate 250.000 posizioni di evasione, le condizioni economiche delle badanti non credo siano in grado di risarcire l’ammontare richiesto, collocandolo tra i crediti inesigibili. b. Considerando che l’80% delle badanti sono straniere, è plausibile supporre che ritornino velocemente al proprio paese abbandonando l’assistito e i familiari al proprio destino e riducendo ancor di più l’offerta di lavoro nel settore. c. Considerando che il focus del controllo verrà fatto solo per le lavoratrici assunte e dichiarate all’Inps, il lavoro che rimarrà attivo sarà prevalentemente quello totalmente irregolare.
  7. Considerando che il focus del controllo verrà fatto solo per le lavoratrici assunte e dichiarate all’Inps, il lavoro che rimarrà attivo sarà prevalentemente quello totalmente irregolare.

Quindi?

Forse è arrivato il momento per decidere di riformare radicalmente il settore, riconoscendo ai cittadini non più autosufficienti un bonus economico da potersi spendere in agenzie specializzate e controllate, in grado di selezionare, formare e supportare l’assistenza domiciliare.

Questo permetterebbe di far emergere molto lavoro nero, regolarizzerebbe i pagamenti fiscali e previdenziali perché l’impresa è sostituto d’imposta, aiuterebbe le famiglie in difficoltà, darebbe maggiori tutele alle lavoratrici e permetterebbe allo stato di governare realmente il settore.

SE NON ORA QUANDO?

Il Governo Meloni sul banco di prova per la non autosufficienza

C’è moltissimo da fare sul fronte della non autosufficienza nel nostro paese.

La pandemia ha fatto emergere questo dramma, troppe volte sottovalutato o delegato alla solitudine del welfare familiare. Non solo i decessi e l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere ma soprattutto, la gestione domiciliare di persone non autosufficienti è emersa in tutta la sua fragilità.

Troppo frettolosamente si è pensato che il problema potesse essere risolto con il caregiver familiare o con la badante, pensando così di poter risparmiare costi sanitari per poi accorgersi che questi aumentavano per le ripercussioni sulla salute di queste persone e di chi li assiste.

La risposta è stata: “la domiciliarità è la soluzione”.

Siamo tutti convinti che l’ambiente familiare può essere terapeutico per chi si avvia alla fine della propria esistenza. Pensare che la cura di una persona ammalata possa essere più efficace a domicilio è tutto da provare. Unico vantaggio immediato è quello di decongestionare le strutture ospedaliere, scaricando i costi sulla famiglia che dovrà riorganizzare il domicilio in funzione dell’ammalato.

Si risponderà: “Tranquillo, c’è ADI e SAD che si prenderanno in carico l’intervento sanitario e assistenziale!”

Se però la media di assistenza domiciliare di ADI e SAD in Italia è di 18 ore all’anno, qualcuno mi sta fregando.

Tutto d’un colpo badanti e caregiver sono diventati la soluzione del problema ma attenti, non vi venga in mente di chiederci dei soldi per poter far fronte a questi costi.

Sarà forse questo quello che il Patto per la non autosufficienza, a cui aderiamo con convinzione, si troverà di fronte quando presenterà le proprie proposte al Governo? Speriamo di no ma occorre mobilitarci per sostenere il confronto altrimenti sarà solo un interessante documento che verrà archiviato in un cassetto.

Noi pensiamo che sia arrivato il momento in cui:

  • la cura e l’ausilio di una persona non più autosufficiente o con gravi fragilità venga garantita da strutture specializzate, in stretto raccordo con gli enti preposti alla salvaguardia della salute e dell’assistenza.
  • Viste le peculiarità dell’assistenza in convivenza e le caratteristiche di servizi forniti da personale extraUE, di permettere l’emersione dei 600.000 “clandestini” presenti in Italia per collocarli sul mercato del lavoro, compreso quello assistenziale.
  • Riconoscere alle famiglie un congruo intervento finanziario legato alla emersione dal lavoro nero e alla competenza professionale garantita dalle imprese che forniscono questi servizi.

Si allegano i documenti del Patto sulla non autosufficienza

Decontribuzione badanti – Bocciatura prevedibile

La commissione Bilancio ha bocciato l’emendamento M5S, passato la scorsa settimana in commissione Affari sociali, che prevedeva la totale decontribuzione per tre anni per badanti neoassunte al servizio di persone non più autosufficienti.

L’emendamento infatti prevedeva un costo per lo Stato pari a 15 mil., cifra assolutamente lontana da una realistica spesa che avrebbe potuto raggiungere anche 900 mil.

Resta quindi un grave problema irrisolto a cui la politica è chiamata da anni a dare risposta.

Il Vicepresidente di Professione in Famiglia, Bruno Perin ha rilasciato la seguente dichiarazione:

L’esito della bocciatura era ampiamente prevedibile per l’approssimazione con cui è stato proposto e accolto in commissione Affari Sociali ma aveva generato speranze tra le famiglie chiamate a farsi carico di un costo sempre più eccessivo di assistenza domiciliare.

Un provvedimento sbagliato sia da punto di vista tecnico che sociale. Occorre approcciare il tema in modo permanente e in grado di coniugare strutturalmente la cura sanitaria domiciliare con quella assistenziale, considerando che la funzione di ausilio familiare fornito da badanti o da operatori d’aiuto così come da caregiver familiari, rientra pienamente tra i pilastri strategici dell’intervento.

I confronti in Parlamento sulla riforma della non autosufficienza resta il luogo più idoneo per trovare le risposte efficaci ad un problema così complesso.”