Dal silenzio compiacente alla caccia alle streghe senza una politica di riforma dell’assistenza di ausilio familiare

Le ultime notizie sono che l’Inps e l’Agenzia delle entrate confronteranno i rapporti di lavoro domestico con le dichiarazioni dei redditi per contrastare l’evasione fiscale e previdenziale nel settore.

Prima della decisione è trapelata la notizia dal Ministero dell’economia che l’evasione fiscale e previdenziale del settore domestico è pari a 2,4mld annui.

Ma andiamo per ordine cronologico ad esaminare il fenomeno del lavoro domestico e in particolare quello dell’assistenza alla persona.

  • Verso la fine degli anni ’70 l’assistenza domiciliare alla persona non autosufficiente venne derubricata a cooperative sociali attraverso apparti pubblici. Una necessità sociale ancora agli albori ma che si prospettava in forte crescita.
  • Negli anni ’80 nacquero le prime norme di sussidio come, ad esempio, l’indennità di accompagnamento per la non autosufficienza
  • Negli anni ’90, con l’entrata nel mondo del lavoro delle donne e la crescita della terza età, l’intervento pubblico in appalto non fu più sufficiente e iniziò il fenomeno del badantato, inserendo la figura dell’assistente familiare all’interno del settore domestico.
  • Il fenomeno dell’assistenza di ausilio familiare crebbe tumultuosamente nel secondo decennio del secolo registrando il servizio della badante con il 50% degli occupati domestici.
  • Nel frattempo, calò la destinazione economica dello Stato verso gli enti locali e conseguentemente si ridusse l’intervento assistenziale a domicilio.
  • Da questo momento si abdicò l’assistenza della persona alla famiglia e al badantato.
  • La crisi finanziaria del 2008, la pandemia e l’inflazione recente fece lievitare la forma irregolare del lavoro di assistenza, portando al 50% il lavoro nero nel settore e, l’assenza di nuove regole, generò forme di servizi privati alla persona per lo più illecite. Tutto ciò nel totale silenzio e disattenzione sociale e politica.

Ad oggi registriamo che:

  1. È sempre più difficile reperire personale qualificato professionalmente per destinarlo all’assistenza della persona.
  2. Le esperienze della formazione professionale sono sostanzialmente disattese dal mercato.
  3. I costi dell’assistenza domiciliare sono incompatibili con la stragrande maggioranza dei pensionati bisognosi di assistenza.
  4. L’intervento medio di assistenza domiciliare, fornita dagli enti locali non supera le 18 ore annue mentre cresce il fenomeno delle dimissioni protette, a totale carico della famiglia.
  5. I due tentativi di regolarizzazione ed emersione dal lavoro nero (2012 e 2020) sono falliti, facendo ritornare nell’irregolarità quanto emerso in soli due anni.
  6. Invece di confrontarsi seriamente sul come governare un fenomeno di massa che coinvolge oltre 10 mil. di cittadini, tra i soggetti assistiti e i loro familiari, si adotta una sorta caccia alle streghe. Nulla da criticare per la corretta applicazione delle leggi, anzi, ben venga in tutti i settori dell’economia ma: a. Ipotizziamo che vengano rilevate 250.000 posizioni di evasione, le condizioni economiche delle badanti non credo siano in grado di risarcire l’ammontare richiesto, collocandolo tra i crediti inesigibili. b. Considerando che l’80% delle badanti sono straniere, è plausibile supporre che ritornino velocemente al proprio paese abbandonando l’assistito e i familiari al proprio destino e riducendo ancor di più l’offerta di lavoro nel settore. c. Considerando che il focus del controllo verrà fatto solo per le lavoratrici assunte e dichiarate all’Inps, il lavoro che rimarrà attivo sarà prevalentemente quello totalmente irregolare.
  7. Considerando che il focus del controllo verrà fatto solo per le lavoratrici assunte e dichiarate all’Inps, il lavoro che rimarrà attivo sarà prevalentemente quello totalmente irregolare.

Quindi?

Forse è arrivato il momento per decidere di riformare radicalmente il settore, riconoscendo ai cittadini non più autosufficienti un bonus economico da potersi spendere in agenzie specializzate e controllate, in grado di selezionare, formare e supportare l’assistenza domiciliare.

Questo permetterebbe di far emergere molto lavoro nero, regolarizzerebbe i pagamenti fiscali e previdenziali perché l’impresa è sostituto d’imposta, aiuterebbe le famiglie in difficoltà, darebbe maggiori tutele alle lavoratrici e permetterebbe allo stato di governare realmente il settore.

SE NON ORA QUANDO?

Il Governo Meloni sul banco di prova per la non autosufficienza

C’è moltissimo da fare sul fronte della non autosufficienza nel nostro paese.

La pandemia ha fatto emergere questo dramma, troppe volte sottovalutato o delegato alla solitudine del welfare familiare. Non solo i decessi e l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere ma soprattutto, la gestione domiciliare di persone non autosufficienti è emersa in tutta la sua fragilità.

Troppo frettolosamente si è pensato che il problema potesse essere risolto con il caregiver familiare o con la badante, pensando così di poter risparmiare costi sanitari per poi accorgersi che questi aumentavano per le ripercussioni sulla salute di queste persone e di chi li assiste.

La risposta è stata: “la domiciliarità è la soluzione”.

Siamo tutti convinti che l’ambiente familiare può essere terapeutico per chi si avvia alla fine della propria esistenza. Pensare che la cura di una persona ammalata possa essere più efficace a domicilio è tutto da provare. Unico vantaggio immediato è quello di decongestionare le strutture ospedaliere, scaricando i costi sulla famiglia che dovrà riorganizzare il domicilio in funzione dell’ammalato.

Si risponderà: “Tranquillo, c’è ADI e SAD che si prenderanno in carico l’intervento sanitario e assistenziale!”

Se però la media di assistenza domiciliare di ADI e SAD in Italia è di 18 ore all’anno, qualcuno mi sta fregando.

Tutto d’un colpo badanti e caregiver sono diventati la soluzione del problema ma attenti, non vi venga in mente di chiederci dei soldi per poter far fronte a questi costi.

Sarà forse questo quello che il Patto per la non autosufficienza, a cui aderiamo con convinzione, si troverà di fronte quando presenterà le proprie proposte al Governo? Speriamo di no ma occorre mobilitarci per sostenere il confronto altrimenti sarà solo un interessante documento che verrà archiviato in un cassetto.

Noi pensiamo che sia arrivato il momento in cui:

  • la cura e l’ausilio di una persona non più autosufficiente o con gravi fragilità venga garantita da strutture specializzate, in stretto raccordo con gli enti preposti alla salvaguardia della salute e dell’assistenza.
  • Viste le peculiarità dell’assistenza in convivenza e le caratteristiche di servizi forniti da personale extraUE, di permettere l’emersione dei 600.000 “clandestini” presenti in Italia per collocarli sul mercato del lavoro, compreso quello assistenziale.
  • Riconoscere alle famiglie un congruo intervento finanziario legato alla emersione dal lavoro nero e alla competenza professionale garantita dalle imprese che forniscono questi servizi.

Si allegano i documenti del Patto sulla non autosufficienza

Decontribuzione badanti – Bocciatura prevedibile

La commissione Bilancio ha bocciato l’emendamento M5S, passato la scorsa settimana in commissione Affari sociali, che prevedeva la totale decontribuzione per tre anni per badanti neoassunte al servizio di persone non più autosufficienti.

L’emendamento infatti prevedeva un costo per lo Stato pari a 15 mil., cifra assolutamente lontana da una realistica spesa che avrebbe potuto raggiungere anche 900 mil.

Resta quindi un grave problema irrisolto a cui la politica è chiamata da anni a dare risposta.

Il Vicepresidente di Professione in Famiglia, Bruno Perin ha rilasciato la seguente dichiarazione:

L’esito della bocciatura era ampiamente prevedibile per l’approssimazione con cui è stato proposto e accolto in commissione Affari Sociali ma aveva generato speranze tra le famiglie chiamate a farsi carico di un costo sempre più eccessivo di assistenza domiciliare.

Un provvedimento sbagliato sia da punto di vista tecnico che sociale. Occorre approcciare il tema in modo permanente e in grado di coniugare strutturalmente la cura sanitaria domiciliare con quella assistenziale, considerando che la funzione di ausilio familiare fornito da badanti o da operatori d’aiuto così come da caregiver familiari, rientra pienamente tra i pilastri strategici dell’intervento.

I confronti in Parlamento sulla riforma della non autosufficienza resta il luogo più idoneo per trovare le risposte efficaci ad un problema così complesso.”

Decontribuzione badanti – L’ennesima occasione persa?

Il recente Decreto Lavoro emanato dal Governo ha accolto un emendamento presentato dal M5S nel quale viene prevista la totale decontribuzione previdenziale e assistenziale per badanti assunte da persone non autosufficienti. Il beneficio dovrebbe durare 36 mesi per un massimo di € 3.000 annui.

È la prima volta che viene posto il tema di aiuto alle famiglie per l’assistenza di ausilio familiare fornito da assistenti familiari e ciò è già di per sé un dato positivo ma, vediamo di entrare nel merito di questo provvedimento che, prima di entrare in vigore, dovrà avere la relativa copertura finanziaria e la trasformazione in legge nel Parlamento.

  • Il Italia i soggetti non autosufficienti sono circa 3,3 milioni.
  • Di questi, circa il 20% vengono assistiti da badanti, di cui la metà in nero
  • I possibili beneficiari dovrebbero essere quindi circa 600.000, di cui 300.000 già regolarizzati quindi non rientranti tra i beneficiari
  • Prendendo a riferimento i contributi Inps, oggetto del risparmio, per una situazione di convivenza a tempo pieno (54 ore a settimana) il costo per il datore di lavoro e per la lavoratrice potrebbe raggiungere la somma annua di € 3.200, all’incirca la stessa quantità di risparmio prevista dal Decreto.
  • Il decreto esclude i casi di licenziamento e riassunzione della stessa badante.

Alcune riflessioni:

  1. Se il decreto intende far emergere dal lavoro nero le badanti incentivando il risparmio contributivo, per darne concreta efficacia non dovrebbe essere una tantum triennale, trascorsi i quali si rientrerebbe nel lavoro nero perché non ci sarebbero più incentivi. Sarebbe quindi meglio se venissero trovate soluzioni strutturali come la completa defiscalizzazione di questo tipo di lavoro, orientando un maggior vantaggio se il servizio venisse acquistato da imprese specializzate perché garantirebbero maggiori entrate fiscali e previdenziali per lo Stato e quindi una prosecuzione verso l’emersione e verso le famiglie. Oppure una rimodulazione dell’attuale indennità di accompagnamento, incrementandola per chi assume una badante.
  2. Escludendo dal provvedimento le famiglie che hanno regolarizzato il rapporto di lavoro si genererebbe una discriminazione palese e difficilmente farebbe emergere gli irregolari perché non ci sarebbero vantaggi.
  3. È quindi probabile che si generino licenziamenti o dimissioni strumentali di massa proprio per beneficiare del vantaggio economico. Questo potrebbe portare teoricamente le circa 300.000 famiglie a sostituire la badante. Il costo per lo Stato, che dovrà comunque garantire le prestazioni senza la certezza delle entrate, potrebbe arrivare a 900 milioni l’anno. L’emendamento accolto ne prevede solo 15 milioni, quindi per una platea massima di 5.000 casi.
  4. È presumibile quindi che l’emendamento non superi la Corte dei conti, così come è già capitato per l’aumento minimo di defiscalizzazione fino a 3.000 euro annui.
  5. Ammesso e non concesso che il provvedimento trovi applicazione legislativa, tutto il lavoro che si sta facendo tra Governo e Patto per la non autosufficienza per trovare le forme di aiuto economico verso le famiglie con la riforma sulla non autosufficienza sarebbe vanificato per sempre, pregiudicando anche tutto il lavoro di formazione professionale ad esso collegato.
  6. In ultimo, ma non ininfluente, le casse bilaterali di fonte sindacale come la Cassacolf, verrebbero bloccate all’origine, sia per il gettito che per le prestazioni. I contributi e le prestazioni sono strettamente legate ai contributi Inps, mancando questi il sistema si troverebbe bloccato.

NON AUTOSUFFICIENZA ALL’ODG DELLA POLITICA – Apprezzamento di Professione in Famiglia alle proposte dell’On. Gagliardi

Una delegazione di Professione in Famiglia guidata dal Presidente Aldo Amoretti ha incontrato
l’On. Manuela Gagliardi (gruppo Coraggio Italia) promotrice di un disegno di legge (n. 3296) che
concretizza un efficace sostegno fiscale per le famiglie con non autosufficienti che si avvalgono di
badanti o comprano il servizio da imprese specializzate del settore di ausilio familiare.

I costi di tale sostegno sarebbero parzialmente compensati con la regolarizzazione di molti
rapporti di lavoro. Ciò pi๠sicuramente nel caso di acquisto del servizio da imprese (molte coop)
che essendo sostituto di imposta assicurano un pi๠efficace ritorno di contributi sociali, Irpef e Iva.

La proposta può essere inserita nel Bilancio dello Stato 2022 anche pescando una cifra minima di
quanto si intende destinare alla riduzione del cuneo fiscale (otto miliardi) essendo congeniale la
misura alla materia.

L’associazione apprezza l’iniziativa della On. Gagliardi e si augura possa realizzarsi una
convergenza di tutti i gruppi parlamentari che riconoscono la rilevanza crescente del problema che
travaglia milioni di famiglie. Ciò anche valorizzando disegni di legge giacenti in Parlamento da anni
seppure promossi da differenti impostazioni.

La misura può essere adottata nel bilancio dello Stato 2022, avrebbe un effetto immediato e
sarebbe un anticipo della pi๠generale riforma costituita da una legge generale sulla non
autosufficienza.

Proposta di legge