Il Governo Meloni sul banco di prova per la non autosufficienza

C’è moltissimo da fare sul fronte della non autosufficienza nel nostro paese.

La pandemia ha fatto emergere questo dramma, troppe volte sottovalutato o delegato alla solitudine del welfare familiare. Non solo i decessi e l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere ma soprattutto, la gestione domiciliare di persone non autosufficienti è emersa in tutta la sua fragilità.

Troppo frettolosamente si è pensato che il problema potesse essere risolto con il caregiver familiare o con la badante, pensando così di poter risparmiare costi sanitari per poi accorgersi che questi aumentavano per le ripercussioni sulla salute di queste persone e di chi li assiste.

La risposta è stata: “la domiciliarità è la soluzione”.

Siamo tutti convinti che l’ambiente familiare può essere terapeutico per chi si avvia alla fine della propria esistenza. Pensare che la cura di una persona ammalata possa essere più efficace a domicilio è tutto da provare. Unico vantaggio immediato è quello di decongestionare le strutture ospedaliere, scaricando i costi sulla famiglia che dovrà riorganizzare il domicilio in funzione dell’ammalato.

Si risponderà: “Tranquillo, c’è ADI e SAD che si prenderanno in carico l’intervento sanitario e assistenziale!”

Se però la media di assistenza domiciliare di ADI e SAD in Italia è di 18 ore all’anno, qualcuno mi sta fregando.

Tutto d’un colpo badanti e caregiver sono diventati la soluzione del problema ma attenti, non vi venga in mente di chiederci dei soldi per poter far fronte a questi costi.

Sarà forse questo quello che il Patto per la non autosufficienza, a cui aderiamo con convinzione, si troverà di fronte quando presenterà le proprie proposte al Governo? Speriamo di no ma occorre mobilitarci per sostenere il confronto altrimenti sarà solo un interessante documento che verrà archiviato in un cassetto.

Noi pensiamo che sia arrivato il momento in cui:

  • la cura e l’ausilio di una persona non più autosufficiente o con gravi fragilità venga garantita da strutture specializzate, in stretto raccordo con gli enti preposti alla salvaguardia della salute e dell’assistenza.
  • Viste le peculiarità dell’assistenza in convivenza e le caratteristiche di servizi forniti da personale extraUE, di permettere l’emersione dei 600.000 “clandestini” presenti in Italia per collocarli sul mercato del lavoro, compreso quello assistenziale.
  • Riconoscere alle famiglie un congruo intervento finanziario legato alla emersione dal lavoro nero e alla competenza professionale garantita dalle imprese che forniscono questi servizi.

Si allegano i documenti del Patto sulla non autosufficienza

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