Decontribuzione badanti – L’ennesima occasione persa?

Il recente Decreto Lavoro emanato dal Governo ha accolto un emendamento presentato dal M5S nel quale viene prevista la totale decontribuzione previdenziale e assistenziale per badanti assunte da persone non autosufficienti. Il beneficio dovrebbe durare 36 mesi per un massimo di € 3.000 annui.

È la prima volta che viene posto il tema di aiuto alle famiglie per l’assistenza di ausilio familiare fornito da assistenti familiari e ciò è già di per sé un dato positivo ma, vediamo di entrare nel merito di questo provvedimento che, prima di entrare in vigore, dovrà avere la relativa copertura finanziaria e la trasformazione in legge nel Parlamento.

  • Il Italia i soggetti non autosufficienti sono circa 3,3 milioni.
  • Di questi, circa il 20% vengono assistiti da badanti, di cui la metà in nero
  • I possibili beneficiari dovrebbero essere quindi circa 600.000, di cui 300.000 già regolarizzati quindi non rientranti tra i beneficiari
  • Prendendo a riferimento i contributi Inps, oggetto del risparmio, per una situazione di convivenza a tempo pieno (54 ore a settimana) il costo per il datore di lavoro e per la lavoratrice potrebbe raggiungere la somma annua di € 3.200, all’incirca la stessa quantità di risparmio prevista dal Decreto.
  • Il decreto esclude i casi di licenziamento e riassunzione della stessa badante.

Alcune riflessioni:

  1. Se il decreto intende far emergere dal lavoro nero le badanti incentivando il risparmio contributivo, per darne concreta efficacia non dovrebbe essere una tantum triennale, trascorsi i quali si rientrerebbe nel lavoro nero perché non ci sarebbero più incentivi. Sarebbe quindi meglio se venissero trovate soluzioni strutturali come la completa defiscalizzazione di questo tipo di lavoro, orientando un maggior vantaggio se il servizio venisse acquistato da imprese specializzate perché garantirebbero maggiori entrate fiscali e previdenziali per lo Stato e quindi una prosecuzione verso l’emersione e verso le famiglie. Oppure una rimodulazione dell’attuale indennità di accompagnamento, incrementandola per chi assume una badante.
  2. Escludendo dal provvedimento le famiglie che hanno regolarizzato il rapporto di lavoro si genererebbe una discriminazione palese e difficilmente farebbe emergere gli irregolari perché non ci sarebbero vantaggi.
  3. È quindi probabile che si generino licenziamenti o dimissioni strumentali di massa proprio per beneficiare del vantaggio economico. Questo potrebbe portare teoricamente le circa 300.000 famiglie a sostituire la badante. Il costo per lo Stato, che dovrà comunque garantire le prestazioni senza la certezza delle entrate, potrebbe arrivare a 900 milioni l’anno. L’emendamento accolto ne prevede solo 15 milioni, quindi per una platea massima di 5.000 casi.
  4. È presumibile quindi che l’emendamento non superi la Corte dei conti, così come è già capitato per l’aumento minimo di defiscalizzazione fino a 3.000 euro annui.
  5. Ammesso e non concesso che il provvedimento trovi applicazione legislativa, tutto il lavoro che si sta facendo tra Governo e Patto per la non autosufficienza per trovare le forme di aiuto economico verso le famiglie con la riforma sulla non autosufficienza sarebbe vanificato per sempre, pregiudicando anche tutto il lavoro di formazione professionale ad esso collegato.
  6. In ultimo, ma non ininfluente, le casse bilaterali di fonte sindacale come la Cassacolf, verrebbero bloccate all’origine, sia per il gettito che per le prestazioni. I contributi e le prestazioni sono strettamente legate ai contributi Inps, mancando questi il sistema si troverebbe bloccato.

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